La dea Cura è una divinità romana poco conoscita.
La sua storia ci viene raccontata da Igino nelle sue Fabulae.
Durante una passeggiata lungo le sponde di un fiume Cura nota dell’argilla. Decide di dare forma a quell’argilla e ne ricava così un manufatto di incredibile bellezza, tanto da chiamare Giove per chiedergli di infondere nella sua opera lo spirito vitale. Giove, probabilmente colpito dall’abilità di Cura, acconsente.
Tra Cura e Giove nasce però subito una discussione: il padre degli dei pretende di dare un nome a quella nuova forma di vita, ma Cura non ne vuole sapere; è stata lei a idearlo e a plasmarlo, pertanto a lei spetta tale diritto. Nella discussione si intromette anche la dea Terra affermando che tutto è stato possibile solo perché lei ha fornito la materia prima. La questione si complica ulteriormente quando ci si mette in mezzo anche il dio Tempo, che oltre ad autoproclamarsi giudice, vuole imporre un limite alla vita donata da Giove.
Per giungere a una risoluzione della lite viene convocato Saturno. Ascoltate le istanze di tutti, Saturno si esprime così: “tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito. Tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Tu Cura, che per prima hai creato e fatto vivere il corpo, lo avrai in custodia finché vivrà. Si chiamerà Homo perché è stato tratto dall’humus, ovvero dalla Terra.”
E così Cura ebbe diritto di possedere l’uomo, dalla nascita fino alla sua morte.
Manca un solo dettaglio. Cura, in latino, si può tradurre anche con inquietudine. Ed ecco dunque spiegato il perché l’inquietudine ci possiede tutti, dal nostro primo respiro, fino all’ultimo
p.s. se anche tu senti che Cura ti possiede, e la cosa ti agita, forse qui puoi trovare sollievo.